Di Matteo: cittadino modenese
- saradonatelli0920
- 7 ago 2015
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Giornata molto intensa, quella di ieri, per la città di Modena che ha conferito la cittadinanza onoraria al giudice Antonino Di Matteo. La mozione è stata approvata con voto unanime dell’assemblea durante la seduta del Consiglio comunale e nell’occasione sono state consegnate simbolicamente al giudice anche le chiavi della città. La cerimonia è stata inaugurata con le parole del sindaco di Modena, Giancarlo Muzzarelli, che ha definito Antonino Di Matteo come “il simbolo dell'Italia che resiste e reagisce”. Sono seguite poi le dichiarazioni dei vari consiglieri comunali. Antonio Montanini, di CambiaModena, ha dato il benvenuto al “concittadino Di Matteo, partigiano della legalità”. Per Marco Cugusi (Sel) Antonino Di Matteo “è un esempio di coraggio, verità e giustizia di cui tutti abbiamo bisogno per contrastare il fenomeno mafioso”. Luigia Santoro di Ncd ha ribadito che “non bisogna dimenticare la straordinaria lezione di Giovanni Falcone il quale sosteneva che, come tutte le cose terrene, la mafia ha un inizio, uno svolgimento e una fine, quindi non è affatto invincibile se viene combattuta con determinazione. Le istituzioni e la politica non possono e non devono dividersi nel combattere questa piaga”. Adriana Querzè di Per me Modena ha sottolineato come le attività di controllo e repressione del fenomeno mafioso abbiano fatto grandi passi, “ma occorre che la politica non si tiri indietro e che agisca sulla lotta alle povertà e alle disuguaglianze”. Per Forza Italia è intervenuto Giuseppe Pellacani che ha focalizzato l’attenzione sulla condizione delle Forze dell’ordine alle quali “la politica da troppi anni dedica una non sufficiente attenzione”. Marco Bortolotti del M5s ha affermato che “la battaglia che il giudice Di Matteo combatte ogni giorno appartiene a tutti: a noi amministratori che abbiamo la grandissima responsabilità di rappresentare tutti i cittadini ed a tutta la società civile che può fare tanto, ritrovando la sana indignazione verso una dilagante corruzione dovuta soprattutto alla perdita di quei principi e quei valori che dovrebbero essere invece le fondamenta di una società che voglia essere non solo civile ma soprattutto umana”. Paolo Trander per il Pd ha ricordato che “le mafie sono ormai, da anni, un problema anche in queste terre che per lungo tempo si erano mostrate resistenti alla cultura e alle pratiche mafiose”. Presente alla cerimonia anche Don Luigi Ciotti, il quale ha speso parole di profonda stima e solidarietà nei confronti di Antonino Di Matteo. Il Presidente di Libera però si è anche soffermato su quella che è la situazione del nostro paese, sia dal punto di vista politico che sociale. “C’è bisogno del coraggio della verità e del risveglio delle nostre coscienze. La democrazia si fonda sulla giustizia e sulla dignità umana, ma non sta in piedi senza un terzo elemento che è la responsabilità. La prima riforma da fare, un’auto-riforma, è quella delle coscienze. Per me è un momento di grande gioia ed emozione. - ha proseguito - Quello che Modena fa oggi è un atto di profonda umanità e sono contento che si consenta ad Antonino Di Matteo di essere cittadino modenese, soprattutto per far comprendere a tutti i cittadini che non si può essere cittadini a intermittenza, a seconda delle circostanze, ma dobbiamo mantenerci costantemente vigili. E soprattutto dobbiamo renderci conto che le mafie non sono un mondo a parte ma una parte del nostro mondo. Vivono tra noi e oggi, con la crisi, sono forti più che mai perché hanno a loro disposizione tanto denaro che possono investire. È molto triste dover constatare come in questi anni c’è chi ha fatto delle leggi che vanno esattamente nella direzione opposta alla legalità. Molto commosso infine l'intervento di Antonino Di Matteo. Il Pm ha innanzitutto ringraziato i tantissimi cittadini che ieri hanno assistito alla cerimonia, applaudendo più volte durante il suo discorso. “È un onore ed un conforto vedermi conferita la cittadinanza onoraria di Modena, una città medaglia d’oro per la Resistenza. Uno stimolo per andare avanti nella ricerca della verità, perché senza verità non ci può essere giustizia e vera democrazia. Questa iniziativa è la sottolineatura dell’essenza più autentica del ruolo di magistrato: il nostro non è un esercizio di potere, ma un servizio nei confronti della collettività. Il coraggio rappresenta l’antidoto più efficace contro l’espansione di quel cancro che è la mentalità mafiosa, la mentalità del favore, della raccomandazione, dell’appartenenza alle lobby come veicolo per fare carriera e raggiungere posizioni di carriera sempre più significative”. Il magistrato palermitano si è lungamente soffermato sul volto della mafia, troppo spesso descritto in maniera errata: "Le organizzazioni mafiose non sono solo quelle incarnate da rozzi delinquenti dediti a estorsioni, omicidi o traffico di droga, ma da teste pensanti, nel cui dna c’è la capacità di relazionarsi e convivere pacificamente con il potere ufficiale: politico, economico, istituzionale e imprenditoriale. È proprio la mancanza di questa consapevolezza che ha contribuito alla facile espansione della mafia in tutta Italia e anche in quei territori finora immuni, come l'Emilia Romagna. Sono tante le azioni che rappresentano la chiave attraverso la quale le mafie penetrano nelle istituzioni e bisogna rendersi conto dello stretto connubio tra i reati tipicamente di mafia e altri, come quelli contro la Pubblica Amministrazione. Quindi - ha aggiunto il pm rivolgendosi a consiglieri, assessori e sindaci presenti - soprattutto voi amministratori locali avete una possibilità di cambiamento enorme: se coltiverete l’approfondimento, la completezza delle informazioni, il fiuto per capire cosa si nasconde dietro a un’attività che viene proposta alla Pubblica Amministrazione, avrete la possibilità di dire no e di isolare i mafiosi ancora prima che si verifichino ipotesi di reato. Con forza, coraggio e passione per la verità e per l’antimafia potrete sbattere la porta in faccia a chi si vuole impadronire del vostro territorio”. Di Matteo ha anche analizzato il ruolo che la politica ha svolto negli ultimi anni nella lotta alla criminalità organizzata, dipingendo un quadro grigio ma terribilmente vero: "Fino ad oggi la reazione della politica è stata inadeguata e i reati che hanno consentito l’accesso della mafia nella funzione pubblica sono rimasti, in Italia, sostanzialmente impuniti. I detenuti per reato di corruzione sono meno di 30 (su una popolazione detentiva di circa 65.000 persone) e questo ci deve indurre a uno sforzo di onestà intellettuale. Per tale motivazione è nostro dovere porci una domanda, di facile risposta: il fenomeno della corruzione non esiste o non è adeguatamente represso?”. Il giudice si è infine espresso criticamente sul rapporto tra lo Stato e la Magistratura: “Non sono qui oggi per propinarvi una verità assoluta; posso semplicemente esprimere il mio punto di vista, da magistrato che da 23 anni si occupa di processi di mafia: è sicuramente migliorata la repressione nei confronti della mafia militare. Ma bisogna fare il salto di qualità: solo recidendo il legame tra mafia e politica si può definitivamente infliggere il corpo mortale al sistema mafioso. Ma purtroppo, ad oggi, la situazione è molto preoccupante: con la legge sulla responsabilità civile dei magistrati si arriverà inevitabilmente ad una burocratizzazione della figura del giudice, che correrà il rischio di dimostrarsi debole con i forti e forte con i deboli. Questa prospettiva mi preoccupa moltissimo perché la prima condizione affinché si possa arrivare alla definitiva sconfitta della mafia deve essere quella di preservare l'autonomia e l'indipendenza della magistratura. Non posso non citare a tal proposito le parole pronunciate da Paolo Borsellino pochi giorni prima di morire. Il magistrato già allora denunciava una situazione che sembra non essere ancora cambiata, ovvero la tendenza a delegare alla magistratura il compito della repressione del sistema mafioso. Ma non solo questo; Paolo Borsellino si lamentava del fatto che ci si focalizzava solo sulla responsabilità penale di un soggetto politico, aspettando le sentenze definitive, tralasciando dunque quella che è la responsabilità morale, civile e politica. Da questo punto di vista la situazione ad oggi è addirittura peggiorata: nonostante esistano infatti sentenze definitive che descrivono Marcello Dell'Utri come il garante di un patto di protezione stipulato tra le famiglie mafiose palermitane e l'imprenditore Silvio Berlusconi almeno fino al 1992, ad oggi vediamo come Berlusconi eserciti un ruolo fondamentale dal punto di vista politico, talmente importante da indurre il premier a discutere con lui di riforme costituzionali". Antonino Di Matteo ha concluso il suo discorso confessando di ritenersi molto fortunato: "Ho sempre sognato di fare il magistrato e sono fiero del mestiere che faccio. Se infatti è vero che la mia terra, la Sicilia, ha conosciuto il male per eccellenza, il male mafioso, è altrettanto vero che questa meravigliosa terra è diventata la dimostrazione dell'orgogliosa ribellione a tutto questo. "Lo Stato non può avere paura di processare se stesso" afferma Nino Di Matteo e, ricordando il famoso conflitto d'attribuzione sollevato dall'ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, termina: "Io ed i miei colleghi non possiamo negare di aver percepito tanti silenzi che spesso, vi assicuro, fanno più male delle grida".
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