I contatti tra il ROS e Vito Ciancimino
- saradonatelli0920
- 10 ago 2015
- Tempo di lettura: 5 min

Il 23 maggio 1992 si consuma la strage di Capaci. Giovanni Falcone viene ucciso alla vigilia dell’elezione del Presidente della Repubblica che avrebbe dovuto essere Andreotti. Viene però eletto Oscar Luigi Scalfaro. L’8 giugno 1992 il Parlamento approva il decreto antimafia, firmato dal ministro della Giustizia Claudio Martelli e dal ministro dell’Interno Enzo Scotti, che inasprisce la legislazione antimafia e introduce il 41 bis, il carcere duro. A fine giugno, iniziano i contatti tra il capitano De Donno, il colonnello Mori e Vito Ciancimino. Giovanni Brusca riferisce che Riina dopo la strage di Capaci gli confida che uomini delle istituzioni “si erano fatti sotto”. E’ importante innanzitutto sottolineare la presenza di rapporti pregressi tra Vito Ciancimino e Antonio Subranni. Nel corso di una perquisizione nell’abitazione di Ciancimino viene infatti rinvenuto un biglietto risalente al 1984 in cui Subranni formula un messaggio augurale all’ex sindaco di Palermo. Ed anche Michele Riccio, deponendo al processo Mori Obinu, riferisce di una confidenza fattagli da Mori in merito ai rapporti di conoscenza risalenti nel tempo tra Ciancimino Vito e Subranni. Sui contatti tra il ROS e Vito Ciancimino l’impianto accusatorio propone i seguenti passaggi: il Colonnello Mori e il Capitano De Donno creano un canale segreto di comunicazione, dopo la strage di Capaci, con i capi di Cosa Nostra, attraverso l’intermediazione di Vito Ciancimino, da sempre vicino ai Corleonesi. Dopo aver avvertito Subranni formulano, sempre attraverso Vito Ciancimino, una proposta indirizzata a Salvatore Riina. Si chiede la cessazione delle stragi in cambio di benefici sul versante penitenziario e repressivo per i componenti dell’organizzazione. Questo canale di comunicazione diventa attivo con l’impegno di Antonino Cinà e Massimo Ciancimino che “trasmettono” i messaggi tra Vito Ciancimino e i boss (Provenzano e Riina). Questa prima fase di “interlocuzione” sfocia nel papello. Le richieste sono però ritenute troppo esose e la trattativa entra in una fase di stallo. La seconda fase di “interlocuzione” vedrà protagonisti diversi: data l’improponibilità delle richieste fatte da Salvatore Riina, la trattativa continua tra gli Ufficiali del Ros (con il tramite di Vito Ciancimino) e Bernardo Provenzano. Questo secondo momento sfocia nel contropapello e nell’arresto di Salvatore Riina. Questa interlocuzione tra gli ufficiali del Ros e i capi mafiosi incide sulla volontà stragista degli uomini di Cosa Nostra. Ricordiamo che nell’archivio del Ros, nel fascicolo P che sarebbe quello relativo a Vito Ciancimino, connotato da una copiosa documentazione fino all’aprile del 1992 e dal dicembre 1992 in poi, non esiste alcuna comunicazione formale ai superiori sui contatti dei due ufficiali del Ros nell’estate del 1992 con l’ex sindaco di Palermo. Solo una ricostruzione postuma alle dichiarazioni di Giovanni Brusca (1997), a firma del colonnello Mario Mori. Infatti l’allora Comandante dell’Arma dei Carabinieri, Viesti, ha dichiarato di non aver mai saputo nulla di quei contatti mentre si verificavano. Inoltre non vi è traccia di comunicazioni all’autorità giudiziaria rispetto all’iniziativa risalente all’estate del 1992 dei due ufficiali del Ros dei carabinieri con Vito Ciancimino. I giudici della Corte di Assise di Firenze hanno inoltre indicato CHI fossero gli interlocutori dei contatti segreti e QUANDO avvennero quei contatti. Il racconto di Brusca (che si basa sulle confidenze fattegli da Riina) e le testimonianze di Mori e De Donno secondo i giudici di Firenze convergono su alcune circostanze. Dal confronto delle versioni di Brusca (da una parte ) e Mori e De Donno (dall’altra) emergono uomini, tempi, oggetto degli incontri. La Corte di Assise scrive: “L’iniziativa del ROS aveva tutte le caratteristiche per apparire come una trattativa, l’effetto che ebbe sui capi mafiosi fu quella di convincerli definitivamente che la strage era idonea a portare vantaggi all’organizzazione. Sotto questi profili non possono esservi dubbi di sorta, non solo perché di trattativa, dialogo, ha espressamente parlato il capitano De Donno (il generale Mori, più attento alle parole, ha quasi sempre evitato questi due termini), ma soprattutto perché non merita nessuna qualificazione diversa la proposta, non importa con quali intenzioni formulata, di contattare i vertici di Cosa Nostra per capire cosa volessero (in cambio della cessazione delle stragi)… qui la logica si impone con tanta evidenza che non ha bisogno di essere spiegata”. Sui contatti tra il Ros dei Carabinieri e Vito Ciancimino, di fondamentale importanza è il contributo di Massimo Ciancimino che riferisce:
• sull’avvicinamento da parte del capitano De Donno nei suoi confronti, nel giugno del 1992, per chiedere un incontro con il di lui padre Vito;
• sugli incontri tra il di lui padre e il capitano De Donno e il colonnello Mori prima della strage di via D’Amelio (quest’ultimo in almeno due occasioni);
• sulla richiesta da parte di Mori e De Donno a Vito Ciancimino di cosa volessero in cambio i capi di Nostra per cessare le stragi;
• sulla rassicurazione che Mori esprime a Ciancimino Vito sulla serietà di quella “trattativa”, di cui erano stati informati esponenti politici (Ciancimino Massimo fa i nomi degli onorevoli Mancino e Rognoni) e il comandante del ROS, il Generale Subranni;
• sulla richiesta di Ciancimino Vito all’allora colonnello Mori di coinvolgere anche l’onorevole Violante per la sua influenza su settori nevralgici come la magistratura e la commissione parlamentare antimafia;
• sull’avere lui stesso (Massimo), nella prima fase dei rapporti con gli ufficiali dei carabinieri, su richiesta del padre, tentato di contattare Lipari Pino attraverso i figli e la moglie per arrivare al Riina;
• sul fatto che quel “dialogo” tra i carabinieri e Ciancimino Vito sfociò nella redazione di un documento proveniente da Riina Salvatore, il cosiddetto “papello”, con una serie di richieste scritte sui benefici per la organizzazione mafiosa, relativi principalmente alla legislazione penale, in cambio delle cessazione delle stragi; documento fatto pervenire con il tramite di Cinà Antonino, uomo vicino a Riina;
• sul fatto che di tutto era informato dal padre Vito un non identificato “Signor Franco”, che lo invitava ad “andare avanti” parlandogli della affidabilità del canale di comunicazione attivato;
• sulle esose richieste contenute nel menzionato ‚papello‛, ricevuto dopo la strage di via D’Amelio, e sul conseguente spostamento del terminale mafioso della interlocuzione da Riina a Provenzano, con cui il padre Vito aveva rapporti più stretti;
• sulla elaborazione di una sorta di ‚contropapello‛ con richieste meno esose di benefici per la organizzazione mafiosa e la garanzie di impunità e protrazione della latitanza per Provenzano;
• sul diretto rapporto tra Provenzano e Ciancimino Vito per fornire ai carabinieri anche notizie utili per la cattura di Riina Salvatore;
• sul ruolo di ‚anello di congiunzione‛ con Provenzano assunto da Dell’Utri Marcello, dopo cattura di Riina e l’arresto del padre Vito;
• sulla non veridicità delle dichiarazioni rese, a partire dal 1993, dal padre Ciancimino Vito alla autorità giudiziaria sui contenuti e sulle date della interlocuzione, per avere quest’ultimo concordato il tutto con ufficiali del ROS dei carabinieri al fine di non svelare l’esistenza di una trattativa coltivata sin dal giugno del 1992 e di conseguenza nell’evitare una incidenza sulla individuazione dei responsabili morali della strage di via D’Amelio.
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