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Perchè l'attività del ROS ha una finalità politica?

  • saradonatelli0920
  • 10 ago 2015
  • Tempo di lettura: 10 min

Dalla discesa in campo degli uomini del Ros si è profilato uno scenario completamente nuovo sul piano delle vittime da eliminare da parte di Cosa Nostra: non serve più colpire Mannino, che ha fatto il suo dovere mettendo in moto la macchina; non serve più colpire gli altri politici democristiani siciliani: dei loro attentati, deliberati ad Enna, non si parlò più in Cosa Nostra. Con l’avvio di questa interlocuzione, la partita si è spostata definitivamente su un altro campo: quello politico-nazionale, quello in cui si possono avanzare le richieste più ardite; quello in cui – ogni volta che ce ne sarà bisogno, per agevolare la prosecuzione dell’accordo – sarà necessario colpire vittime diverse dai politici, vittime indifferenziate che siano in grado di generare il massimo allarme sociale e che funzionino da tipico strumento terroristico di pressione sull’azione dei poteri pubblici. Dopo aver visto tutto questo, occorre soffermarci su un capitolo fondamentale: il contatto instaurato tra il Ros con Vito Ciancimino. Per affrontare in maniera piena questo tema dobbiamo porci una domanda preliminare ed importantissima, perché in qualche modo illumina la reale direzione dell’iniziativa di Subranni, Mori e De Donno. Bisogna capire che natura reale abbia avuto l’attività di mediazione svolta da Mori e De Donno: attività di polizia giudiziaria, come ci dicono oggi i protagonisti, oppure attività politica? Dobbiamo innanzitutto chiederci perché il ROS individui Vito Ciancimino come interlocutore e mediatore diretto con il vertice militare di Cosa Nostra. Per dare risposta a questa domanda occorre elencare un insieme di ragioni di ordine pragmatico e di natura più strettamente strategica.





SVOLGIMENTO


  • PREGRESSO RAPPORTO TRA IL GENERALE SUBRANNI E VITO CIANCIMINO

Dobbiamo innanzitutto sottolineare l’esistenza di un pregresso rapporto tra il Generale Subranni e Vito Ciancimino. Quando per la prima volta Vito Ciancimino, nel 1984, fu oggetto di un mandato di cattura, venne contestualmente perquisito il suo appartamento di Via Sciuti e tra la documentazione sequestrata fu trovato anche un biglietto personale, con un tono palesemente molto confidenziale, dell’allora Maggiore Antonio Subranni nei confronti di Vito Ciancimino. Su questo punto dobbiamo considerare anche le dichiarazioni rese dal Colonnello Michele Riccio, nel verbale del 22 novembre 2012, in cui il Colonnello ci consegna un dettaglio particolare: il rapporto tra Subranni e Vito Ciancimino è un rapporto risalente nel tempo e questa circostanza è stata appresa da Riccio perché gli è stata confidata personalmente e direttamente dallo stesso Mario Mori ai tempi dell’aggregazione al Ros.



  • RAPPORTO TRA IL CAPITANO DE DONNO E MASSIMO CIANCIMINO

Focalizziamo la nostra attenzione anche sul rapporto tra il Capitano De Donno e Massimo Ciancimino negli anni precedenti al ’92, in occasione di un procedimento per reati contro la pubblica amministrazione istruito nei confronti di Vito Ciancimino; un rapporto coltivato in una pluralità di occasioni (colloqui al carcere, consegne di documentazione), che avevano messo in contatto più volte Massimo Ciancimino e il Capitano De Donno. Ovviamente, per trovare queste ammissioni di De Donno, dobbiamo andare ai verbali resi a Firenze davanti a Gabriele Chelazzi: ad esempio, il verbale di sommarie informazioni del 2 luglio 1998.



  • VITO CIANCIMINO LEGATO A BERNARDO PROVENZANO

Ma ci sono anche altre motivazioni, come già detto prima, di ordine più schiettamente strategico per le quali venne indirizzata la scelta proprio nei confronti di Vito Ciancimino: risultava ai Carabinieri del ROS, e dagli atti dei processi che Vito Ciancimino aveva subito, che lo stesso fosse da sempre particolarmente e personalmente legato a Bernardo Provenzano. Quel Bernardo Provenzano che poteva essere individuato come fautore di una linea di maggiore cautela e moderazione nell’approccio agli interlocutori istituzionali rispetto a quella di Salvatore Riina e dei suoi uomini più vicini, come Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca. Questo è il contesto complessivo in cui iniziano ad agire Mori e De Donno.



  • PARLANO MORI E DE DONNO

Per capire meglio e valutare i reali contenuti di questi primi contatti tra Ros e Vito Ciancimino, probabilmente non c’è cosa migliore che partire dalla descrizione che di questi primi incontri hanno fatto i diretti interessati (Mori e De Donno, oggi entrambi imputati al processo sulla trattativa). Se attingiamo ai verbali più risalenti nel tempo (quando Mori e De Donno erano ancora lontani dall’essere indagati, ma comunque iniziavano a capire che era arrivato il momento di dire qualcosa sulla loro attività). Perché questo momento arriva a distanza di anni? Il motivo è uno solo: perché Brusca, per la prima volta, nel processo di Firenze, inizia a parlare di papello e di ricatto allo Stato veicolato da uomini dello Stato. E’ molto significativo recuperare le parole pronunciate all’epoca dagli imputati Mori e De Donno. Quegli stessi imputati che oggi, con dichiarazioni spontanee rese in aula o con esternazioni pubbliche fatte alla stampa, si indignano all’idea che la loro iniziativa sia definita in termini di «trattativa»: «era una raffinata operazione di polizia giudiziaria» – dicono oggi - «un’attività di contrasto con la quale i migliori uomini del Ros hanno voluto imporre l’ultimatum a Cosa Nostra, per convincere i vertici dell’epoca ad arrendersi semplicemente e senza condizioni». E’ questo quello che dicono oggi Mori e De Donno, i protagonisti di quel dialogo; ma vediamo come raccontavano la “raffinata” operazione di polizia giudiziaria prima dell’inizio delle indagini e dei processi. Andiamo al Processo che si celebrò dinnanzi alla Corte d’assise di Firenze, processo Bagarella + 25, udienza del 27 gennaio 1998: leggiamo solo alcuni brani sintetici.

27 gennaio ’98, Mario Mori:

“andammo da Ciancimino e dicemmo: signor Ciancimino, ma insomma, che cos'è questa storia qui? Ormai c’è muro contro muro, da una parte c'è Cosa Nostra, dall'altra parte c'è lo Stato. Ma non si può parlare con questa gente? La buttai lì convinto che lui dicesse cosa vuole da me, Colonnello? E invece dice ma sì, si potrebbe, io sono in condizioni di farlo. Ciancimino mi chiedeva se io rappresentavo solo me stesso o anche altri. Certo, io non gli potevo dire beh, signor Ciancimino, lei si penta, collabori che vedrà che l'aiutiamo, e gli dissi lei non si preoccupi, lei vada avanti. Lui capì e restammo d'accordo che volevamo sviluppare questa trattativa”.

27 gennaio ’98, De Donno:

“proponemmo a Vito Ciancimino di farsi tramite per nostro conto di una presa di contatto con gli esponenti della organizzazione mafiosa di Cosa Nostra, al fine di trovare un punto di incontro, un punto di dialogo. Ciancimino accettò con delle condizioni; innanzitutto, la condizione fondamentale era che lui poteva raggiungere il vertice dell'organizzazione siciliana a patto di rivelare i nominativi miei e del comandante al suo interlocutore. Facemmo allora capire al Ciancimino che questa non era una nostra iniziativa personale, sarebbe stato oltremodo stupido pensare che Ciancimino poteva accettare un'ipotesi di questo genere ritenendo che noi fossimo portatori esclusivamente di noi stessi. Successivamente, il Ciancimino ci fece sapere che voleva incontrarci, ci siamo rincontrati e praticamente ci disse che l'interlocutore, e cioè la persona che faceva da mediatore tra lui e Salvatore Riina, voleva una dimostrazione, una prova della nostra capacità di intervento; questa prova consisteva nella sistemazione delle vicende giuridiche pendenti del Ciancimino, con conseguente concessione di passaporto al Ciancimino per la gestione di ulteriori trattative fuori dal territorio dello Stato. Al quarto incontro Ciancimino si fece portatore di un messaggio di accettazione della nostra richiesta di trattativa, di dialogo, di discorso dei vertici siciliani di Cosa Nostra. Ci disse: sono d'accordo, va bene, accettano, vogliono sapere che cosa volete”. E ancora, pagina 140, quando gli si chiede con chi fu concordata all’interno dell’Arma quella iniziativa di contatto con Vito Ciancimino, De Donno risponde secco: «Mori ne aveva parlato solo con il Generale Subranni». Si potrebbe pensare che Mori ne avesse parlato con Subranni in ossequio alle gerarchie dell’Arma, ma allora certamente un contatto così delicato lo si sarebbe dovuto concordare con il Comando Generale; invece alla domanda del PM: “Le risulta se siano state informate altre autorità all'interno dell'Arma dei Carabinieri?” – la risposta immediata di De Donno è altrettanto emblematica: “No, per quanto io sappia no, nessun altro”.



  • SENTENZA BAGARELLA+25

La sentenza Bagarella+25, sentenza che concludeva quel giudizio di Firenze, è importantissima. Essa si occupa anche del tema di questa trattativa del Ros e lo fa partendo – oltre che dalle dichiarazioni rese già in quel processo dal collaboratore Giovanni Brusca – proprio dalle deposizioni di Mori e De Donno, dalle loro gravi ammissioni nel corso di quelle deposizioni, nonché dalle loro più profonde contraddizioni .

«non si comprende assolutamente come sia potuto accadere che lo Stato, in ginocchio nel ’92 secondo le parole dello stesso Generale Mori, si sia potuto presentare a Cosa Nostra per chiederne la resa; non si comprende come Ciancimino, controparte in una trattativa almeno fino al 18 ottobre ’92, si sia trasformato dopo pochi giorni in confidente dei Carabinieri; non si comprende come il Generale Mori e il Capitano De Donno siano rimasti sorpresi per una richiesta di showdown, giunta, a quanto logico ritenere, addirittura in ritardo. Quello che conta è come apparve all'esterno, e oggettivamente, l'iniziativa del ROS e come la intesero gli uomini di Cosa Nostra; conseguentemente importa quale influenza ebbe sulle determinazioni di costoro; sotto questo aspetto, vanno dette alcune parole non equivoche: l'iniziativa del ROS, perché di questo organismo si parla, posto che vide coinvolto un capitano (De Donno), il vice-comandante Mori, e lo stesso comandante del reparto Subranni, aveva tutte le caratteristiche per apparire come una trattativa. L'effetto che ebbe sui capi mafiosi fu quello di convincerli definitivamente che la strage era idonea a portare vantaggi all'organizzazione. Sotto questi profili, non possono esservi dubbi di sorta, non solo perché di trattativa, di dialogo ha espressamente parlato il Capitano De Donno, ma soprattutto perché non merita nessuna qualificazione diversa la proposta, non importa con quali intenzioni formulata, di contattare i vertici di Cosa Nostra per capire cosa volessero in cambio. Qui la logica si impone con tanta evidenza, che non ha bisogno di essere spiegata».

Le parole della sentenza fiorentina sono lapidarie. Risulta dunque chiara quella che fu la vera matrice di questa iniziativa: non è mai stata un’attività di polizia giudiziaria. E di questo vi è un riscontro persino documentale.


  • CHI NON SAPEVA DI QUESTI INCONTRI

Nel corso delle indagini, infatti, la Procura di Palermo ha notificato al comando del ROS attuale un ordine di esibizione sulla vicenda dei contatti De Donno – Mori - Vito Ciancimino. Ebbene, da queste carte che sono state acquisite il 19 novembre 2009, non risulta un solo atto, una sola annotazione, una sola relazione di servizio, una semplice comunicazione ai superiori relativa agli incontri tra i due ufficiali del ROS e Vito Ciancimino. E questa cosa è ancora più significativa e anomala perché quello stesso fascicolo personale di Vito Ciancimino è un fascicolo molto consistente e analitico con riferimento a tutte le notizie che arrivano fino all’aprile 92 e che riguardano Vito Ciancimino; un fascicolo che, fino a quel mese, ricomprende persino i ritagli dei giornali che riguardavano le udienze dei processi a carico di Vito Ciancimino; ed è un fascicolo personale che diventerà nuovamente ricchissimo e analitico a far data dal periodo successivo alla carcerazione di Ciancimino il 18 dicembre ’92. Dall’aprile del ’92 al dicembre ’92, invece, c’è il totale silenzio informativo; c’è il vuoto totale, c’è la clandestinità. Ma al di là delle carte, è il Comandante Generale dei Carabinieri in persona – il Generale Viesti – che ha messo nero su bianco, a verbale, di non aver mai saputo niente di niente del contatto Subranni-Mori-De Donno con Vito Ciancimino. E’ possibile leggerlo nel verbale del 2 marzo 2012. E la prima citata “clandestinità” vale anche nei confronti della neo-istituita Dia, guidata in quel momento dal generale Tavormina (che peraltro proveniva proprio dall’Arma dei Carabinieri). In questo caso dobbiamo specificare anche un dato ulteriore, fondamentale: con la legge istitutiva della Dia era stato introdotto un obbligo inderogabile di comunicazione alla Dia – da parte di tutte le Forze dell’ordine, compresi i Reparti Speciali come il Ros – di tutte le notizie ed informazioni acquisite, in qualunque modo, in materia di criminalità organizzata. E’ l’articolo 3 della legge istitutiva della Dia, la 410 del 91:“ La Direzione investigativa antimafia nell'assolvimento dei suoi compiti opera in stretto collegamento con gli uffici e le strutture delle forze di polizia esistenti a livello centrale e periferico. Tutti gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria dei servizi centrali e interprovinciali devono costantemente informare il personale investigativo della D.I.A. di tutti gli elementi informativi ed investigativi di cui siano venuti comunque in possesso e sono tenuti a svolgere, congiuntamente con il predetto personale, gli accertamenti e le attività investigative eventualmente richiesti”. Insomma, un obbligo perentorio ed inderogabile. Anche questo incredibilmente violato da Subranni, Mori e De Donno, in un’iniziativa che di legale e di istituzionale non ha proprio nulla. Ecco che cosa ha detto su questo punto il generale Tavormina, all’epoca direttore della Dia, quando è stato sentito dalla Commissione Antimafia. Il verbale di Tavormina è quello del 16 marzo 2011, leggiamo a pagina 12: «Noi della Dia non sapevamo assolutamente nulla che vi fossero iniziative di questo genere. Se lo avessimo saputo, se avessimo avuto cognizione di una situazione di questo tipo, io ed i miei collaboratori – che all’epoca rischiavamo la vita – avremmo davvero e letteralmente fatto il diavolo a quattro e avremmo denunciato pubblicamente una situazione di questo genere. Quando si fa una trattativa, vi sono due soggetti, ognuno dei quali costituisce una parte. Lei riesce ad immaginare di vedere da un lato, come parte, lo Stato, rappresentato naturalmente da espressioni delle sue istituzioni, e dall’altro lato la mafia? Era un qualcosa di assolutamente lontano dalla nostra immaginazione e soprattutto dalla nostra impostazione, anche perché noi avevamo creduto e credevamo davvero in tutto quello che facevamo».







CONCLUSIONE

Dunque della raffinata operazione di polizia giudiziaria di Subranni, Mori e De Donno, il Comando generale dei Carabinieri non era stato informato; la Dia, nonostante l’obbligo di legge, non era stata informata. Per stessa ammissione di Mori e De Donno non era stato informato nessun magistrato e nessuna autorità giudiziaria. In realtà, se andiamo a guardare con attenzione gli atti, una relazione di Mori sui contatti con Vito Ciancimino esiste anche se, incredibilmente, è di cinque anni successiva ai fatti e risale ai tempi in cui Mori iniziò ad essere sentito dalle Procure di Firenze e Caltanissetta: la troviamo proprio allegata al verbale di sommarie informazioni di Mario Mori alla Procura di Caltanissetta del 23 settembre 97. Siamo oltre 5 anni dopo rispetto ai fatti e soprattutto dopo le prime dichiarazioni di Brusca sul papello. Ed allora abbiamo una situazione apparentemente paradossale: una situazione in cui i Carabinieri del Ros, mentre non scrivevano nulla (salvo poi scrivere relazioni di servizio a 5 anni di distanza), mentre non informavano il loro Comandante Generale, mentre violavano la legge non informando la Dia e mentre si guardavano bene dall'informare i magistrati di Palermo o di qualsiasi altro distretto giudiziario, al tempo stesso parlavano – attraverso Subranni – con Mannino e, vedremo in seguito, andavano a parlarne con Violante e con la dottoressa Ferraro al Ministero della Giustizia, perché volevano il sostegno politico dei politici di area diversa da quella di Mannino. Anche questo ci pare un elemento significativo per capire perché quella non è stata una attività “di indagine” e di prevenzione, ma è stato l'avvio e lo sviluppo di una vera e propria trattativa politica, che Subranni, Mori e De Donno non hanno certamente svolto di loro piena iniziativa, ma in esecuzione di un mandato di tipo politico che ave


 
 
 

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