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Perchè Scotti viene sostituito da Mancino?

  • saradonatelli0920
  • 10 ago 2015
  • Tempo di lettura: 6 min

La Posizione di Nicola Mancino è certamente una posizione peculiare: uomo della sinistra Dc, stabilmente ed organicamente inserito proprio in quella corrente democristiana che faceva riferimento a Calogero Mannino. Mancino (secondo quello che ci dice Massimo Ciancimino) viene espressamente indicato dal Ros al padre Vito come soggetto a conoscenza della trattativa. Il suo nome compare testualmente sul cosiddetto contropapello, il documento scritto personalmente da Vito Ciancimino e contenente richieste in qualche misura più morbide e ragionevoli da trasmettere agli interlocutori istituzionali; il nome di Nicola Mancino viene fatto anche dal collaboratore Brusca, che lo individua come terminale e sostanziale destinatario, all’interno del Governo, del papello di Riina. Terminale all’interno del Governo, perché in effetti –dal 1° luglio 1992 – in assoluta sorpresa rispetto ad ogni possibile previsione, Nicola Mancino entra nel Governo e ci entra dalla porta principale: andando a ricoprire quello che è in assoluto uno dei Ministeri più ambiti e soprattutto politicamente più strategici, soprattutto in quella fase tumultuosa del 92: il Ministero degli Interni, dove andò a sostituire il Ministro Scotti. Questa vicenda solo a prima vista potrebbe apparire una vicenda prettamente politica. In realtà si inserisce nel contesto della ormai collaudata interlocuzione con i vertici di Cosa Nostra e passata per l’importante step della consegna di un primo elenco di richieste dai vertici dell’organizzazione mafiosa. In questo contesto quindi in cui non va più bene il «muro contro muro» tra Stato e Mafia. E se il muro contro muro non può andare più bene, certamente non può andare bene un Ministro dell’Interno come Scotti che, a causa delle sue iniziative politiche contro la mafia, aveva attirato su di sé gli intenti omicidiari di Cosa Nostra e le minacce della Falange Armata. La questione della mancata conferma dell'onorevole Scotti nella carica di Ministro dell'Interno diventa centrale: è una sostituzione che avviene in un momento della vita dell’intero Paese particolarissimo, in cui c’era già stato un omicidio politico clamoroso ed una strage eclatante (omicidio Lima/strage di Capaci), e le circolari del Capo della Polizia avvisavano le Prefetture di mezza Italia del rischio imminente di nuovi attentati destabilizzanti. E’ cioè un momento politico in cui (se la programmazione politica rispondesse davvero alla logica dell’interesse comune) mai e poi mai si sarebbe potuto anche soltanto pensare di minare la continuità del Governo proprio in quel Ministero strategico. Ed è invece proprio quello che accade: al posto di Scotti, a partire dal primo luglio va Mancino, un politico democristiano fino ad allora privo di ogni minima esperienza di Governo nella qualità di Ministro; uno che nel Governo, fino a quel momento, non c’era entrato neanche nella veste di semplice sottosegretario. Un politico che viene sorprendentemente messo a gestire da Ministro dell’Interno la fase più delicata e cruciale della storia politica nella quale si è sviluppata quella stessa trattativa. Che la sostituzione di Mancino a Scotti agli Interni sia una operazione alla quale proprio Mannino guarda con enorme interesse personale ce lo rivelerà il fatto che proprio nel preciso momento in cui la Procura di Palermo convoca De Mita per interrogarlo sulle vere ragioni della sostituzione Scotti-Mancino, proprio Calogero Mannino viene sentito per caso a Roma, per strada, dalla teste Amurri mentre dice al collega di partito Gargani: “bisogna parlare con De Mita, perché questi a Palermo hanno capito tutto e questa volta ci fottono!. E’ importante indicarlo fin da ora per dimostrare quanto la scelta proprio di Mancino per sostituire Scotti, a trattativa avviata, sia una scelta che riguarda personalmente il suo capo corrente, Calogero Mannino. Anche su questa importante vicenda della sostituzione sono emerse alcune profonde contraddizioni tra la versione fornita da Mancino e le dichiarazioni rese da Claudio Martelli e Vincenzo Scotti. Proprio il contrasto tra le versioni di Mancino e quelle degli altri testi è stato evidentemente ritenuto da Nicola Mancino talmente pericoloso e lacerante da suscitare il timore straordinario che, nell’ambito del processo che si stava celebrando proprio davanti al tribunale di Palermo nei confronti di Mori e Obinu, potesse essere accolta la richiesta che il Pubblico Ministero aveva fatto di mettere a confronto proprio Mancino e Martelli; una preoccupazione sfociata in innumerevoli e note conversazioni in cui sostanzialmente Mancino sollecita, con un’insistenza che lascia sbalorditi, un intervento volto proprio ad evitare il confronto processuale, oltre che a ridimensionare le indagini alla Procura di Palermo con il meccanismo della avocazione o del coordinamento stringente. Ma vediamo alcune di queste contraddizioni, in sintesi, partendo proprio da Scotti. Come vive Scotti la sua sostituzione agli Interni in quel momento così delicato? Su questo punto Scotti ci ha dato sempre la stessa versione: e a differenza degli altri l’ha data fin dalle prime volte in cui è stato sentito, ad esempio nel processo via d’Amelio Ter; la conferma poi alla Procura di Caltanissetta nel luglio 2009; la ribadisce ancora in Commissione antimafia nel 2010; infine la consegna anche alla Procura di Palermo il 5 dicembre 2011.

Scotti in sostanza dichiara di avere vissuto la mancata conferma a Ministro dell'Interno come una sorpresa non prevista

(dice testualmente di averlo appreso alla televisione, dalla lettura della lista dei Ministri da parte del Presidente Amato ed a poche ore di distanza da una telefonata notturna con De Mita nella quale aveva ribadito che avrebbe voluto continuare l’attività politica intrapresa agli Interni). E ci dice che questa sorpresa della sostituzione era di fatto dovuta all'isolamento politico che era conseguito alla durezza della sua azione di contrasto alla mafia e, in particolare, delle misure che, da Ministro, aveva adottato con il decreto 8 giugno ’92: è il decreto che tra le varie e preoccupanti misure di prevenzione e repressione della criminalità organizzata, come ad esempio l’inserimento di ipotesi di reato e di confisca dei beni in caso di intestazione fittizia, aveva anche introdotto il regime penitenziario del 41bis. Perché Scotti, se guardiamo bene le date, viene sostituito praticamente subito dopo l’emanazione di quel decreto che tanto aveva spaventato Cosa Nostra? Proprio in quel momento, il soggetto a cui veniva ricondotta la paternità e la responsabilità politica di quel decreto, viene fatto uscire di scena. Anzi, Scotti dice di più e nel verbale dell’8 giugno 2012 racconta che proprio da alcuni suoi colleghi di partito (Gargani) gli arrivò il pressante invito a non insistere nella conversione in legge di quel decreto, in modo tale da lasciarlo scadere nei 60 giorni e da renderlo inefficace. E queste cose così rilevanti Scotti non le ha dette per la prima volta ai magistrati di Palermo che indagavano sulla trattativa ma in un’intervista rilasciata da Scotti proprio nei giorni che hanno preceduto la sua sostituzione con Mancino. Si tratta di un’intervista rilasciata al giornalista di Repubblica D’Avanzo il 21 giugno 92, ed è già in quel momento che Scotti dichiara pubblicamente e testualmente:


«molti del mio partito sarebbero contenti se me ne tornassi a casa; e contenta sarebbe certamente la mafia, se il nuovo governo – quindi con un nuovo Ministro – invece di portare avanti il progetto e renderlo operativo rincominciasse daccapo come se niente in questi anni fosse stato».



Completamente diversa è la versione di Mancino che ha riferito che la scelta di non confermare Scotti agli Interni era dovuta al mero rispetto di una regola statutaria del suo partito, che prevedeva l’ incompatibilità tra l’assunzione di un incarico di governo e il mantenimento dello status di parlamentare, che Scotti aveva dichiarato di non voler abbandonare. Questione essenzialmente ed esclusivamente politica. Il rispetto delle regole, dice Mancino. Ora, non può convincere in nessun modo la versione di Mancino, per una serie di motivi: innanzitutto, dalla lettura dei verbali (in particolare di Forlani e di De Mita), sappiamo che quella regola della incompatibilità esisteva in teoria da decenni ma non si contano neanche gli innumerevoli casi in cui quella stessa regola è stata completamente disattesa ed ignorata senza alcun problema, trattandosi appunto di una regola interna al partito: è stata ad esempio violata e disattesa con lo stesso Scotti fino a quel giugno del 92 (Scotti era infatti sia ministro che parlamentare); è stata disattesa e violata con lo stesso Calogero Mannino (che fino a quel giugno 92 era stato al tempo stesso Ministro e parlamentare). Una regola quindi del tutto disapplicata: già questo basterebbe a bollare questa motivazione fornita da Mancino con l’etichetta che merita: e cioè non una giustificazione della sostituzione, ma un pretesto per liberarsi di Scotti. Ma in secondo luogo, ad ulteriore conferma della illogicità manifesta di questa versione, c’è da dire che se il motivo fosse consistito effettivamente nel rispetto di questa regola statutaria, allora come si può spiegare il dato incontrovertibile che l'onorevole Scotti, nonostante avesse dichiarato di non volersi dimettere da parlamentare così perdendo gli Interni (secondo Mancino), sia stato invece inserito in quella stessa nuova compagine governativa con il ruolo di Ministro degli Esteri? Se la regola dell’incompatibilità tra status di parlamentare e componente dell’esecutivo c’era e se era stata la causa della sostituzione agli Interni, è assolutamente chiaro come quella regola non potesse che valere anche per il ruolo di Ministro degli Esteri. Ma la veridicità delle dichiarazioni di Scotti non emerge solo da questi dati di tipo logico, per così dire; se recuperiamo il verbale di Claudio Martelli del 6 giugno 2012, vediamo che lo stesso Martelli ci racconta che già nel 2000 Gargani gli aveva confidato che Scotti era stato sostituito agli Interni non di certo per il rispetto della regola statutaria, ma perché all'interno del partito era osteggiato soprattutto per il fastidio che aveva dato nel ’92 con la sua politica antimafia e in un momento delicatissimo come quello della possibile conversione in legge del decreto dell’8 giugno sul 41bis. Lo dice Gargani, il compagno di corrente di Mannino e Mancino. Insomma, il risultato di questa operazione fu uno solo: quello di mandare Mancino al Viminale in quel momento particolarissimo.


 
 
 

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