Quel processo
- saradonatelli0920
- 10 ago 2015
- Tempo di lettura: 4 min

MAGISTRATI IMPEGNATI NEL PROCESSO:
Antonino Di Matteo
Roberto Tartaglia
Vittorio Teresi
Francesco Del Bene
IMPUTATI:
1. Bagarella Leoluca Biagio
2. Brusca Giovanni
3. Ciancimino Massimo
4. Cinà Antonino
5. De Donno Giuseppe
6. Dell’Utri Marcello
7. Mancino Nicola
8. Mori Mario
9. Riina Salvatore
10. Subranni Antonio
REATO:
ARTICOLO 338 DEL CODICE PENALE: Violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario. Chiunque usa violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una rappresentanza di esso, o ad una qualsiasi pubblica Autorità costituita in collegio, per impedirne in tutto o in parte, anche temporaneamente o per turbarne comunque l’attività, è punito con la reclusione da uno a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto per influire sulle deliberazioni collegiali di imprese che esercitano servizi pubblici o di pubblica necessità, qualora tali deliberazioni abbiano per oggetto l’organizzazione o l’esecuzione dei servizi.
AGGRAVANTE ARTICOLO 339 DEL CODICE PENALE: Circostanze aggravanti. Le pene stabilite nei tre articoli precedenti sono aumentate se la violenza o la minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte. Se la violenza o la minaccia è commessa da più di cinque persone riunite, mediante uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, ovvero da più di dieci persone, pur senza uso di armi, la pena è, nei casi preveduti dalla prima parte dell’articolo 336 e dagli articoli 337 e 338, della reclusione da tre a quindici anni, e, nel caso preveduto dal capoverso dell’articolo 336, della reclusione da due a otto anni.
SPIEGAZIONE DEL REATO:
Ciascuno degli imputati svolge un ruolo nella trattativa:
• Riina, Provenzano, Brusca, Bagarella e Cinà sono gli autori del delitto principale. Hanno commesso la condotta tipica di minaccia ad un Corpo Politico dello Stato (Governo) e la prima esecuzione della minaccia rivolta verso il Governo (in particolare verso il Presidente del Consiglio, Andreotti) è l’omicidio di Lima. Abbiamo poi una campagna del terrore contro il ceto politico dirigente al fine di ottenere benefici specificati nel papello. Dopo l’inoltro del papello continuano i messaggi minacciosi fino all’inizio del 1994, anno in cui Brusca e Bagarella, attraverso il canale Mangano-Dell’Utri, fanno recapitare a Berlusconi un messaggio intimidatorio. Sarà l’ultimo: si completa adesso infatti il lungo iter di una trattativa travagliata che trova un approdo nelle garanzie assicurate dal duo Dell’Utri-Berlusconi (come emerge dalle dichiarazioni convergenti di Spatuzza, Brusca e Giuffrè).
• Per quanto riguarda gli uomini dello stato, essi sono imputati di concorso nella minaccia al Governo. Subranni, Mori, De Donno, Mannino, Dell’Utri sono accusati di aver fornito un consapevole contributo alla realizzazione della minaccia, con condotte di sostegno al comportamento dei boss mafiosi. Hanno sostanzialmente svolto il ruolo di consapevoli mediatori tra i mafiosi e la parte sottoposta a minaccia, quasi fossero gli intermediari di un’estorsione. Con l’aggravante che il soggetto “estorto” è lo Stato e che abbiamo un condizionamento dell’esercizio dei pubblici poteri, sviati dalla loro finalità istituzionale e dal bene pubblico.
Massimo Ciancimino, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa per il suo ruolo di tramite fra il padre Vito Ciancimino e Bernardo Provenzano
L’uccisione di Salvo Lima va vista come una minaccia indirizzata a Giulio Andreotti (in quanto Presidente del Consiglio ed esponente politico che Cosa Nostra riteneva responsabile del mancato “aggiustamento” del maxiprocesso) e Calogero Mannino (Ministro per gli Interventi Straordinari nel Mezzogiorno e successiva vittima designata). Mannino, una volta ucciso Salvo Lima si attiva, tramite i propri terminali sul territorio, per richiedere a Cosa Nostra la contropartita per interrompere il suo attacco frontale alle Istituzioni Politiche. Si propone dunque come intermediario, per conto dell’organizzazione mafiosa, nella ricerca di nuovi equilibri nei rapporti con la politica. Gli altri imputati, concorrenti nel reato, hanno agevolato Cosa Nostra a portare a termine il messaggio intimidatorio. In particolare questo è il ruolo contestato ai tre Ufficiali del ROS (Subranni, Mori e De Donno) che attivati da Mannino e altri esponenti politici, aprono un canale di interlocuzione con i vertici di Cosa Nostra finendo così per rafforzare il convincimento dell’utilità della minaccia, recapitando i messaggi intimidatori al Governo che a sua volta ha il potere di concedere i vari benefici richiesti dalla mafia. Qui si inserisce la contestazione di falsa testimonianza a carico di Nicola Mancino. Emerge infatti un fatto: chi conduce la trattativa sa che Scotti, Ministro dell’Interno in carica, è un potenziale ostacolo mentre Mancino viene ritenuto più utile in quanto più facilmente influenzabile da politici (come Mannino) e da chi lo circondava (come il Capo della Polizia, Parisi). Martelli, percepito come un ostacolo per la trattativa, viene eliminato politicamente più in là, nel 1993. Nel frattempo viene tolto di scena anche Nicolò Amato, capo del Dap. Nel 1993 la situazione politica è critica: caduta del Governo Amato e formazione di un Governo Tecnico come il governo Ciampi. Il capo della Polizia Parisi e il Gen. Mario Mori assumono un ruolo di protagonismo: diventano artefici della trattativa e garanti dell’allentamento della stretta repressiva (soprattutto sul fronte del 41 bis). Ecco che si delinea l’importanza del ruolo svolto da Francesco Di Maggio (legato al Ros dei Carabinieri) che darà il suo indirizzo imponendolo a Capriotti, nuovo direttore del Dap ed al Ministro Conso. Il tutto con l’avallo che gli deriva anche dai suoi rapporti con il Capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfato. Ma l’iter della trattativa non poteva fermarsi alle mancate proroghe di regime del 41 bis. Cosa Nostra ha ben più ambiziosi e duraturi obiettivi: vuole ottenere un nuovo e duraturo patto politico-mafioso. Ed è per questo che le minacce di prosecuzione della stagione stragista non si arrestarono fin tanto che, subentrata la Seconda Repubblica ed insediatasi una nuova classe politica dirigente con la quale trattare, con il duo Dell’Utri-Berlusconi avviene la definitiva saldatura del nuovo patto di coesistenza Stato-mafia.
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